L’8 marzo, non è una festa. Non fateci gli auguri, poiché siamo ben lontani dal festeggiare.
C’è da festeggiare sapendo che una donna su due non lavora?
C’è da festeggiare sapendo che su 100 persone laureate, 60 sono donne e 40 sono uomini, eppure solo il 13,5% delle donne sono assunte a tempo indeterminato?
C’è da festeggiare sapendo che le donne guadagnano in media il 20% in meno rispetto agli uomini, appena il 21,1% dei dirigenti è donna e solo il 32,4% è tra i quadri?
C’è da festeggiare sapendo che nel Global Gender Gap 2024 l’Italia è all’87° posto su 146, in discesa di ben 8 posizioni rispetto all’anno precedente?
C’è da festeggiare sapendo che ci vorranno 60 anni affinché le donne in Europa raggiungano gli stessi diritti degli uomini?
Non fate gli auguri se da domani sentirete l’esigenza di dire che esageriamo, che stiamo chiedendo troppo agli uomini per sostenere la parità di genere.
Non fateci gli auguri se da domani continuerete a dire o anche solo a pensare che qualsiasi abuso, molestia o violenza, una donna se l’è cercata.
Non regalateci mimose se poi controllate il cellulare o le finanze familiari.
Non fateci gli auguri se pensate che le donne approfittino economicamente di un divorzio.
Non regalateci fiori se poi vi sembra un complimento importunare verbalmente o fisicamente una donna, per strada o sul posto di lavoro.
Non fateci gli auguri se vi girate dall’altra parte quando una donna viene insultata per ciò che indossa o per come decide di vivere la sua vita. Non lo fareste mai con gli uomini!
Non fateci gli auguri se per voi il femminicidio, come fattispecie giuridica, è un’ingiustizia verso gli uomini. Se non riconosci l’importanza di questa tutela, vai avanti, risparmia fiato.
A un uomo chiedete mai com’era vestito, dopo aver subito una violenza? A un uomo chiedete mai se ha intenzione di avere figli, prima di assumerlo? A un uomo dite mai che è una persona completa solo se diventa padre?
Non è di mimose o auguri vani ciò di cui abbiamo bisogno, ma del vostro impegno.
Festeggeremo insieme solo quando la parità sarà reale, non formale. Quando quel vuoto di 200 anni sarà finalmente colmato.